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LA GIARA

di Luigi Pirandello

Atto unico

regia di ENZO RAPISARDA

Personaggi e interpreti



Don Lolò:
Michele Bottaro


Zi Dima Licasi:
Enzo Rapisarda


Mpari Pè:
Domenico Veraldi


L'Avvocato Scimè:
Alberto Latta


Tararà:
Mario Cuccaro


Fillicò:
Pietro Beni


La ‘Gna Tana:
Rita Vivaldi


Un Mulattiere:
Mario Santagati


Nociarello:
Giuseppe Fiore


Carminella:
Rita Vivaldi


Concettina:
Consuelo Erigozzi


Annuzza:
Roberta Lorenzoni


Marietta:
Ilaria Totaro


Lucia:
Serena Filippini


Il Cantastorie:
Alberto Latta

Staff 

​

Coreografie:
Roberta Lorenzoni;


Foto di scena
Michele Albrigo


Scenografia:
Laboratorio N.C.T.


Costumi:
Laboratorio N.C.T.

​

Direzione luci e suono:

Khristopher Ramos Villegas


Regia:
Enzo Rapisarda


Produzione e messa in scena:
Nuova Compagnia Teatrale

Apparsa per la prima volta sul Corriere della Sera il 20 ottobre 1909, La Giara costituisce un raro esempio di aggregazione degli elementi linguistico-formali del naturalismo utilizzati a sostegno della corrosiva dialettica umoristica.

La verghiana Sicilia della “roba” presiede la vicenda di una giara ostinatamente e magicamente trasgressiva. Rappresentanti di due ceti sociali in conflitto sono don Lolò Zirafa, che ricorre continuamente agli strumenti del diritto, e zì Dima Licasi grottesco concia brocche. La NOVELLA pervasa da motivi di accesa comicità e disincantato pessimismo, sconvolge il proverbiale rapporto gerarchico-sociale. Fulcro iconico della vicenda, la giara è una metafora della trappola esistenziale da cui è possibile evadere solo per un guizzo beffardo. Zì Dima viene descritto come “un vecchio sbilenco…come un ceppo antico d’olivo saraceno” E l’olivo saraceno grande in mezzo alla scena fosco e ferrigno, insieme motivo vegetale e connotazione antropologica domina l’opera pirandelliana da La Giara a I giganti della montagna. Il vecchio partecipa della saggezza dell’olivo, l’albero che per Pirandello meglio rappresenta la Sicilia.

E’ questa l’unica opera del teatro pirandelliana festosa e beffarda, ma ancora una volta la vita non conclude; l’acceso diverbio, i risentiti contrasti si risolvono in un nulla, da cui kantianamente esplodono il riso e il godimento. Nella versione teatrale è presente un coro che segnala le variazioni d’umore, alleggerisce la tensione, sottolinea il paradosso. La giara funge da totem, contenitore di potere, in grado di fagocitare, “è l’involucro della nascita, l’utero e insieme la tomba” secondo lo scrittore siciliano Vincenzo Consolo , l’empedocleo Kaos , mescolanza di tutte le cose, oggetto simbolico con il quale tutti si misurano. La parlata siciliana assicura alla commedia una maggiore autenticità sia sul piano della fascinazione emotiva, che della drammatizzazione. L’opera è percorsa da nuclei di magica e demoniaca visione, vengono evocate presenze di un mondo animistico, che vengono notevolmente evidenziate nelle scelte registiche di Rapisarda. Si tratta di un mondo caro a Pirandello che più volte si occupa di strani avvenimenti, di esperimenti spiritici, delle streghe dell’aria chiamate “le Donne”, di spiriti burloni che vengono a tormentare i vivi, di personaggi dotati di misteriosi poteri distruttivi, di morti che non hanno ancora lasciato la terra e contemplano il loro cadavere e la loro casa.

La commedia è un addio a una Sicilia estiva intrisa di colore e di folclore, caratterizzata da canti, balletti popolar e risate; l’ultimo tuffo dello scrittore in una sorta di Eden, ampiamente idealizzato, prima di iniziare l’esplorazione delle ossessioni che travagliano la coscienza. Le movenze sono quelle della farsa e farseschi sono i due personaggi principali.

Ne “La giara” la presenza simbolista è forte: Zì Dima da povero vecchio si trasforma in un essere magico, un folletto gobbo dai molteplici aspetti, uomo-albero o uomo-giara. Alla fine egli diventa un dio della fertilità e scatena sull’aia una celebrazione dionisiaca della raccolta con i contadini che ballano attorno alla giara sotto la luna come tanti diavoli, mentre lui canta a squarciagola. Don Lolò che aveva cercato l’aiuto della legge per intrappolare Zì Dima, imbestialisce completamente e spinge la giara che va a spaccarsi contro un ulivo. La vittoria di Zì Dima rappresenta il trionfo dell’uomo saggio, in contatto con le forze della natura, sull’uomo irascibile e violento, sia il trionfo del contadino povero e sfruttato sul padrone ricco e avaro.

La commedia fu rappresentata con successo nel 1917 da Angelo Musco e in seguito fu portata sulle scene in allestimenti famosi tra i quali ricordiamo la creazione scenografica di Giorgio De Chirico e la regia di Strehler.

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