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LA PATENTE

di Luigi Pirandello

Atto unico

regia di ENZO RAPISARDA

Personaggi e interpreti



Giudice D’Andrea:
Alberto Latta


Marranca (l’usciere):
Michele Bottaro


Primo Giudice:
Domenico Veraldi


Secondo Giudice:
Mario Cuccaro

Giuseppe Fiore


Rosinella:
Anna Rapisarda
Ilaria Totaro


Rosario Chiàrchiaro:
Enzo Rapisarda

Staff 

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Foto di scena:
Michele Albrigo

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Coreografie:

Roberta Lorenzoni


Scenografia e costumi:
Laboratorio N.C.T.

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Direzione luci e suono:

Khristopher Ramos Villegas


Regia:
Enzo Rapisarda


Produzione e messa in scena:
Nuova Compagnia Teatrale

Tratta dalla novella omonima del 1911, la commedia fu rappresentata per la prima volta in dialetto siciliano nel 1919 a Roma con la regia di Nino Martoglio e l’interpretazione di Angelo Musco. Fu tradotta anche da in dialetto genovese (da Gilberto Govi), in napoletano e in veneziano. E’ stata ripresa in un film a sketch da titolo “Questa è la vita” nel 1953 per la regia di Luigi Zampa con l’interpretazione di Totò.

Il dramma e il grottesco della vicenda si risolvono teatralmente in un accorato e vivo monologo del protagonista cui fa da contrappunto, come nel teatro classico, il “coro” dei giudici.
Come sempre l’autore fissa l’attenzione del pubblico su un nucleo centrale: in questo caso è la storia sfortunata di Rosario Chiàrchiaro, un disgraziato padre di famiglia cui è stato misteriosamente attribuito il potere di jettatore. Bollato dalla società col marchio di menagramo, a causa di questa nomea è costretto insieme con la moglie e le due figliole a vivere in isolamento perdendo il posto di lavoro e riducendosi alla fame. Chiàrchiaro non si piega e invece di negare l’infame calunnia fa ogni sforzo per convalidarla convincendo il giudice D’Andrea che non solo la jella esiste, ma che lui è uno jettatore autentico e vuole la patente a riconoscimento di questa sua particolare professione. Egli infatti non può vivere se non codificando la sua fama di jettatore, facendosi riconoscere ufficialmente come possessore di un potere funesto e invincibile e ottenere così la sua patente. Solo in tal modo egli potrà guadagnarsi da vivere perché tutti, per tenerlo lontano, saranno costretti a pagargli una tassa.

Quando Chiàrchiaro spiega le ragioni della sua decisione, dettata dalla disperazione,egli non è più una maschera grottesca, ma un uomo come gli altri, per il quale nessuno ha avuto pietà, perché l’ignoranza e la superstizione sono più forti della pietà. E qui scatta l’umorismo pirandelliano, il travestimento da jettatore da ridicolo diventa umoristico, perché crea una forte compassione nei confronti del mascheramento grottesco per necessità. Lo spettatore perde il sorriso fatto di incredula ilarità e comincia a riflettere e a capire le ragioni di Chiàrchiaro che non crede alla superstizione ma è stato costretto a prendere atto della sua situazione disperata e capisce che l’unica possibilità che gli resta è “sfidare il ridicolo” e pretendere l’ufficialità della sua jella per ottenere i soldi necessari a sopravvivere.

Si tratta di un’opera di grande attualità in questa nostra società fatta di “apparire” e non di “essere”, che denuncia dei giochi di rapporti e preconcetti in cui l’individuo è inevitabilmente coinvolta. Come Rosario Chiàrchiaro ciascuno ha la sua maschera, un ruolo da giocare, maschera e ruolo che spesso vengono plasmati addosso dagli altri e a cui nessuno può sottrarsi perché il pregiudizio della massa finisce per avere sempre il sopravvento.

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