IFIGENIA IN TAURIDE
di Johann Wolfgang Goethe
dramma in due atti
traduzione e versione teatrale di RITA VIVALDI
regia di ENZO RAPISARDA
Personaggi e interpreti

Ifigenìa
ANNA RAPISARDA
Oreste
MARCO VALLARINO
Toante
ENZO RAPISARDA
Pilade
PIETRO BENI
Ancella
RITA VIVALDI
Staff
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Aiuto regia:
Stella Rapisarda
Scenografie e costumi:
Laboratorio N.C.T. Verona
Trucco e Acconciature:
Moreno Pasqualin
Fotografo di scena:
Michele Albrigo
Direzione luci e suono:
Khristopher Ramos Villegas
Produzione e messa in scena:
Nuova Compagnia Teatrale
IFIGENIA COME FIGURA SIMBOLO
Figlia primogenita di Agamennone e Clitemnestra, sorella di Oreste, Elettra e Crisotemi, è stata la protagonista di moltissime opere letterarie che hanno sottolineato da un lato gli aspetti drammatici e assoluti delle prove richieste all’uomo dagli dei, dall’altro l’imprevedibilità della sorte umana. Ifigenia è una delle figure più tragiche del mito greco, simbolo della prova più grande che un dio può chiedere a un uomo, che ritroviamo anche nella Bibbia nell’episodio del sacrificio di Isacco.
La vicenda della giovane (non presente in Omero) viene citata in un frammento dei Canti Ciprii che narrano gli antefatti della guerra di Troia. La flotta greca è ferma nel porto di Aulide, perché i venti contrari ne impediscono la partenza. Viene interpellato l’indovino Calcante di Tebe, il quale emette un responso atroce: l’ira degli dei può essere placata solo se Agamennone sacrificherà la figlia primogenita ad Artemide. Il mito e la sorte successiva di Ifigenia sono a questo punto narrati in diversi modi dai poeti greci e latini, anche a seconda della lettura simbolica che ne viene data. Nel corso dell’ottocento e del novecento la ricezione dell’opera ha tuttavia celebrato il suo messaggio universale di umanità.
Nell’Agamennone di Eschilo Ifigenia non ha una parte diretta, ma il suo sacrificio, consumato in Aulide, diviene l’alibi per l’omicidio di Agamennone perpetrato da Clitemnestra e dal suo amante Egisto, dopo che il re torna vittorioso in seguito alla distruzione di Troia.
Euripide invece celebra la figura di Ifigenia in due note tragedie: Ifigenia in Aulide e Ifigenia in Tauride. Nella prima, Artemide impietosita alla vista della fanciulla sull’altare sacrificale, decide di salvarla sostituendola con una grande e bella cerva. Gli sviluppi della vicenda vengono rappresentati in Ifigenia in Tauride in cui Artemide, dopo aver sottratto la giovane alla morte, la trasporta nella lontana regione dei Tauri (identificata con l’odierna Crimea) dove sarà sacerdotessa nel tempio dedicato alla dea. Usanza dei Tauri è uccidere tutti gli stranieri che giungono nella loro terra, nel tentativo di mantenere la libertà e l’indipendenza del loro popolo. Un giorno approda sulle rive della Tauride Oreste, il fratello di Ifigenia, accompagnato dal cugino e amico del cuore Pilade. Oreste, aiutato dalla sorella Elettra, ha vendicato il padre uccidendo Clitemnestra ed Egisto, ma per essersi macchiato dell’orrenda colpa del matricidio, è perseguitato dalle Erinni. Il dio Apollo gli suggerisce il modo per liberarsi dal loro tormento: recarsi nella Tauride e rapire la statua della dea per farne dono ad Atene. Ifigenia, dopo il riconoscimento con il fratello e dopo aver ascoltato le vicende dolorose della sua stirpe, tenta di persuadere il re Toante a risparmiare la vita di Oreste e Pilade e a lasciarla partire con loro verso la patria tanto desiderata. Solo l’intervento di Atena però, dea ex machina, consente di sciogliere l’intreccio drammatico affinchè i tre lascino le spiagge della Tauride con il simulacro della dea.
IFIGENIA IN TAURIDE NELLA VISIONE DI GOETHE
La prima idea dell’opera risale al 1776 ma Goethe inizia nel 1779 la stesura, che verrà ultimata definitivamente in Blankverse nel 1786. Durante il viaggio in Italia lo scrittore porterà con sé la terza versione per darle l’ultima conclusiva redazione. Durante quei giorni memorabili, densi di paesaggi mirabili, nello splendore dell’arte antica e classica, giorni che Goethe stesso definirà come i più felici della sua esistenza, egli riesce a trasferire lo spirito della bellezza e l’intensità delle emozioni nella sua opera.
Il segno distintivo di Ifigenia di Goethe è un carattere mite ma non rassegnato, riverente ma non sottomesso alla volontà divina, che esprime con la sua forza, con la sua fermezza un sentimento che non è ribellione, ma nemmeno passività in un’adesione totale all’etimologia del suo nome (di stirpe forte). Nei monologhi della fanciulla Goethe fa emergere il sentimento angosciante di nostalgia per la patria e per la famiglia che prova nel suo esilio forzato. A questo dolore si intreccia la sofferenza per la triste condizione della donna e della sorte privilegiata dell’uomo. Ma il significato più profondo dell’ Ifigenia goethiana consiste nel suo messaggio di umanità. Ella diffonde intorno a sé un ideale di pace in grado di comporre ogni dissidio, anche il più feroce. Durante i dialoghi con il re Toante, che cerca di far prevalere il suo potere di sovrano nell’eterna contesa fra leggi dello stato e leggi del cuore che ricordano l’Antigone sofoclea, Ifigenia riesce a piegare l’animo del re ma anche del fratello Oreste: sostituire la violenza e il conflitto con la fiducia e la fraternità affinché prevalgano la solidarietà, la saggezza e la tolleranza. La fanciulla incarna inoltre un modello di armonia e di femminilità che rivela tutta la sua modernità sottolineando con forza il valore della donna nel ruolo di civilizzatrice delle società virili.
L’Ifigenia di Goethe si distingue nettamente dal dramma euripideo, al punto che lo scrittore stesso in una lettera a Schiller confesserà che è un’opera “maledettamente umana”, ma in questo processo di trasformazione da un agire politico a un agire etico mediato dal confronto con la diversità del pensiero femminile sta la grande attualità di un dramma della civiltà.